Nell’ambito dell’inchiesta su “Tecniche e materiali”, in “Marcatre” n. 37 – 38 – 39 – 40, Roma, maggio 1968
Marisa Volpi – Che funzione ha la tecnica nel tuo lavoro?
Claudio Verna – Se intesa come simbolo concreto della civiltà industriale, essa non entra direttamente nel mio lavoro: non sono cioè in concorrenza né con lo scienziato, né con l’industrial-designer il quale, oltre a tener conto direttamente dei materiali che usa, deve conoscere il procedimento di esecuzione industriale del suo progetto. Se invece la tecnica è riferita all’opera, al quadro nel mio caso, allora la ritengo fondamentale.
Spesso i quadri vengono letti dando troppa importanza all’intenzione dell’autore, alle sue “giustificazioni”, che ovviamente non hanno nulla a che fare con la consapevolezza del suo lavoro, né tantomeno con la sua cultura. Ogni opera vive di scelte, di intuizioni, che conferiscono o no la qualità. L’intenzione non è neppure un punto di partenza. La tecnica, invece, spesso è già rivelatrice della maturità artistica di un lavoro.
M.V. – La scelta della tecnica ad olio corrisponde ad una tua particolare concezione dei quadro?
C.V. – Certo, nel senso che i miei quadri attuali non possono essere dipinti che con la tecnica ad olio su tela. In particolare, il mio problema di oggi è strettamente legato al colore, alla sua facoltà di assumere significati nuovi, di darsi addirittura come nuova realtà. E poche materie sono così duttili come il colore ad olio, così ricche di possibilità. Questo non esclude naturalmente che, domani, io possa usare un’altra tecnica. In questo campo, ritengo, non esistono più tabù.
M.V. – Mi sembra che nei tuoi quadri esista un problema di relazione tra lo spazio e l’immagine, e che anche questa esigenza richieda una certa tecnica…
C.V. – Il mio lavoro degli ultimi due anni ha quello che impropriamente si potrebbe chiamare un fondo bianco. In realtà, il bianco è un colore come un altro: in più, può significare uno spazio neutro, senza dimensioni, o anche uno schermo luminoso attraverso il quale filtra una immagine. Questa non è davanti, dietro, prima o poi: è lo spazio stesso che si identifica, si concretizza nel colore. Che poi l’immagine, ancorandosi alla realtà, diventi aggressiva o lirica o ironica, è per me secondario. Mi interessa, invece, un rapporto senza equivoci dell’immagine con il colore e lo spazio che circola libero tra l’immagine stessa. Non a caso, prima di un quadro, cerco a lungo (anche con bozzetti in scala) l’esattezza di questo rapporto. Poi, il quadro è ancora un’altra cosa. Ma è bene che sia così.