Claudio Verna, catalogo personale Galleria del Milione, Milano, maggio 1973
Claudio Verna crede nella possibilità di parler peinture. Ma il suo parlare si affida alle parole stesse della pittura, sicché egli discorre della pittura facendo la pittura.
Operazione sottile. Il problema non è di spostare il discorso sull’arte nell’ambito di un linguaggio diverso (del linguaggio verbale, la cui ricchezza di articolazioni logiche apre una più diretta e agevole via al discorso astratto), ma di impostarlo e condurlo a termine all’interno del linguaggio stesso dell’arte, e della pittura.
Da molti anni ormai, almeno a partire dal 1966-67, nell’opera di Verna i singoli elementi costitutivi del quadro esibiscono se stessi, si presentano, per così dire, in prima persona, parlano di sé nel tempo stesso in cui aprono un discorso sugli altri con i quali entrano in relazione: il colore parla del colore, la superfìcie della superfìcie e insieme discorrono dello spazio, lo spazio del quadro, che ad un certo punto si interrompe (quando si interrompe), lasciando la parola alla cornice, ossia al limite reale della tela o a un confine segnato da uno stacco del colore, che crea così la situazione di un quadro dentro il quadro. A volte, lo spazio delimitato dalle stesure cromatiche non si arresta, continua al di là del limite della tela, aprendo la via a un discorso sul retro del quadro, fattore concretissimo e tuttavia così trascurato.
Sul filo di questa riflessione che ciascun elemento della pittura sembra condurre su se stesso, si verifica un trapasso decisivo, il passaggio, cioè, dai singoli fatti concreti e infinitamente variabili (questo o quel colore o le variazioni di uno stesso colore) a classi di fatti concreti, che presentano una maggiore costanza e quindi sono meglio in grado di costituire il fondamento per un discorso sistematico sulla pittura.
Parlare pittura significa, allora, mettere in evidenza gli elementi linguistici di base, i termini di un possibile codice o sistema della pittura. Verna ha voluto sottolineare in maniera esplicita questo punto, parlando della sua opera come di una “indagine entro un sistema” e di una progettazione di “varianti” che muove da quel riferimento di base. Ogni suo quadro si presenta, quindi, come una struttura in un senso linguistico stretto, rifiutando l’altrove del tableau, in cui viene rappresentata, iconicamente, una scena o viene mimata, aniconicamente, la storia dei sentimenti e delle emozioni. Resta la peinture intesa, in termini linguistici, come una “entità autonoma di dipendenze interne”. L’opera si presenta nella immanenza totale della propria fisicità e, nel tempo stesso, mette in evidenza un procedimento di divaricamento tra quadro e riflessione sul quadro, di uno scollamento che la scelta analitica e la tensione metalinguistica dell’artista operano tra la declinazione, qui-ora, dell’opera singola e la continuità dei riferimenti a un codice di invarianti.