In catalogo personale, Studio d’arte Eremitani, Padova, 1972
Per Verna, la pittura è anzitutto un procedimento, un vero e proprio metodo di indagine conoscitiva. Così il suo lavoro, anziché procedere per paradigmi, conduce una continua, serrata analisi iterativa (del resto, una sua opera del 1969 si intitola proprio «Iterazione ambigua») di alcuni fatti percettivi, uno dei quali — fondamentale — è proprio l’ambiguità, da Verna intesa non in senso gestaltista ma come vera e propria componente esistenziale, e quindi trasferibile anche a livello di visione. L’elemento ambiguità, con il suo procedere per scarti minimi, serve a sottolineare le motivazioni «politiche» di Verna nei confronti di quell’eterno problema costituito dallo spazio e dalle sue attribuzioni. In sostanza Verna, malgrado certe cadenze apparentemente e comunque limitatamente pittoricistiche, compie una rigorosa analisi strutturale del campo visivo, che non trova precedenti nel panorama italiano, se non nell’opera di Lo Savio, che però agisce in una direzione affatto diversa, oppure di Dorazio, artista notevole per molti altri aspetti.
Lo spazio di Verna, fino al 1969-70 non è certo un’area in cui si collocano dei fenomeni, ma è piuttosto una dimensione virtuale di cui deve ancora essere dimostrata l’effettiva esistenza. Ogni quadro di Verna, pertanto, e questo anche malgrado la suggestiva compiutezza formale, va inteso come tentativo, da collocare in un contesto quasi seriale, di giungere ad una definitiva (e il processo, ovviamente, agisce per approssimazioni) fecalizzazione visiva e quindi visuale. Non dunque — e la chiarificazione vale soprattutto per le opere degli anni 1967-68 — ricerche di carattere strutturale, come l’apparente stereometria primaria dei quadri di Verna potrebbe far pensare, ma problemi di ordine puramente e rigorosamente visivo. In ogni caso, il rigore — mentale, prima che formale — dell’artista romano, ha sempre lasciato un certo margine a talune componenti tradizionali della pittura, come il ritmo e la simmetria ecc. che, proprio visto l’estremo rigore di Verna, sono state sempre leggibili (e il discorso vale ancora per gli anni tra 67 e il 68) come mezzo, mai come fine.
Verna, come si è potuto vedere, non esclude alla pittura una funzione conoscitiva; anzi, in un momento in cui la pittura viene negata, Verna, non certo incurante o ignorante di quanto accade intorno a lui, e non certo senza la coscienza della crisi fondamentale che travaglia il lavoro artistico, sembra voler affermare, in maniera tutt’altro che conservatrice, che anche la pittura può avere una sua dimensione, un suo spazio vitale e pertanto operativo. Naturalmente, sarà una pittura «diversa»: e non tanto sul piano degli elementi di fondo (i quadri senza titolo del 1971-72, soltanto in apparenza sembrano escludere i «soliti» problemi spaziali, in favore di un più «astratto» atteggiamento mentale che, fatti i debiti passaggi, potrebbe anche essere accostato ai più recenti prodotti della conceptual art), quanto su quello dell’angolo visuale da cui questi fatti vengono presi in esame. In sostanza, se prima Verna considerava — per dirla con Merlau-Ponty — uno spazio pressoché «spazializzato», nel suo lavoro più recente, essendo giunto a riaffermare lo spazio alla sua fonte, ed essendosi inoltre accorto, esattamente come afferma i! filosofo francese, che le relazioni sottese alla concezione spaziale vivono soltanto in virtù di un soggetto che le descrive e le sostiene, considera uno spazio «spazializzante».
Negli ultimi quadri di Verna la geometria interviene massicciamente per indicare, in assenza di ulteriori elementi di definizione, il percorso mentale che sta dietro all’immagine che, in questo caso, non è sicuramente qualcosa di giustapposto, ma è data dal quadro stesso. Ma se, contrariamente a quanto ha avuto modo di affermare lo stesso Verna, di immagine si tratta, tale immagine, sempre e in ogni caso esistente al di fuori di una dimensione «narrativa», più che un dato di fatto, finisce con l’essere una «proposta per», da integrare in qualsiasi momento.
E non c’è dubbio che Verna, fornendo la traccia del suo percorso e autorizzandone l’integrazione, se da un lato nega la pittura come risultato, dall’altro la riafferma come procedimento.