I quadri di questa mostra non hanno titolo.
Una lettera, seguita da un numero progressivo, li identifica per esigenze pratiche. Voglio dire che vanno visti nel loro insieme, momenti di un unico discorso che non accetta più il quadro come un pezzo di bravura più o meno riuscito.
Non c’è titolo perché non c’è racconto, quindi manca l’immagine, l’immagine è il quadro stesso.
La qualità. In pittura viene riferita inevitabilmente all’abilità dell’artista, alle sue doti. Mentre invece ogni forma di espressione può vivere solo come fatto mentale, come elaborazione di proposte, come creazione di linguaggio. E allora la qualità retrocede a livello di percezione individuale e acquista valore la serie, il processo, il divenire del problema, le soluzioni proposte nel loro insieme.
Il colore, un colore base, puro o composto.
Colori acrilici. Il laboratorio del pittore si trasforma, ancora una accelerazione della fantasia. L’avventura del fare, la scoperta di una nuova alchimia senza segreti, la mancanza di letteratura: le ragioni di una scelta.
Lo spazio, campo virtuale e illimitato, si è fatto più assoluto, catturato da semplici punti geometrici (la squadratura del campo).
La luce, matrice del colore, domina il campo e ne determina la tensione, la «virtualità», lo spessore. Muore il mito della geometria, i confini del quadro si annullano, la libertà si ancora ad un ordine mentale, alla realtà.
(Il quadro non è una «rivelazione miracolosa»).
La cornice scompare, il quadro gira dietro la tela ma non diventa oggetto. La pittura rimane pittura, ma è finito il «gesto» del dipingere.