Claudio Verna, in Arte Contemporanea, Anno V, n.22, Grottaferrata – Roma, 2010
Claudio Verna fin dai primi anni ’60 imposta il suo lavoro sulle possibilità della percezione,sui sistemi attenzionali che il fruitore deriva dalla determinazione degli elementi formali che l’artista propone.
La pittura si pone come “campo” che assume le trasformazioni sensibilissime del colore e della forma, attraverso una concettualizzazione della pittura stessa che non si pone nell’ordine di una tautologia autoreferenziale, ma che mantiene la sua intrinseca identità pittorica.
Costruisce quindi il campo della visione partendo da elementi elementari attraverso la linea ed il colore, con assetti monocromi, linee ortogonali o successivamente superfici che sono una sorta di palinsesti ottenuti dalla sovrapposizione di piani cromatici.
Questo porta alla costruzione di una visione che sottende ad una specificità del fare pittura, la cui visione si concretizza attraverso una misurazione della superficie dell’opera che pur adottando modalità visuali, tradisce un ordine interno che è frutto del pensiero.
L’ordine noetico è assicurato da una sorta di tassonomia degli elementi che nell’affermare se stessi,tuttavia rimandano ad un senso altro che si prefigura nell’atto stesso del dipingere, quindi l’attitudine decostruttiva in effetti si dà come possibilità costruttiva, in un senso che permea l’assetto generale dell’opera.
Quindi la ricerca di Verna lungi dal disporsi su di un versante puramente formale, ridiscute continuamente l’assetto dell’opera individuando in essa gli elementi che abbisognano al pensiero visuale per determinare il senso e l’organizzarsi della superficie pittorica, nulla si dà al di fuori della pittura stessa, poiché il pensiero non si risolve in un concettualismo di tipo enunciativo, come quello di sapore anglosassone che predilige l’asserzione linguistica alla pratica esecutiva.
In Verna la pittura esiste in sé e fuori da sé, poiché l’atto stesso del dipingere attua una prassi consolidata, ma al tempo stesso introduce una riflessione sul fare che si pone non come mera teoria, ma come possibilità di una formalizzazione del pensiero.
Del resto lo stesso artista afferma che dipingere è realizzare una idea che non preesiste,ma che si identifica nel suo realizzarsi nell’opera,calandola nella concretezza dell’operazione che si compie,ribadendo così il valore della prassi che non nega l’assunto ideativo, ma lo ingloba in una possibilità attuativa determinando una concreta modalità del pensare.
Lo sviluppo della ricerca di Verna mantiene quindi una tensione costante di pensiero e non devono ingannare i pur visibili cambiamenti visivi che le opere mostrano nel corso del tempo, poiché questo avvalora la tesi che la sottotraccia teorica non è inficiata dalla evoluzione formale, anzi questa diviene il paradigma attraverso il quale il pensiero si mostra nel suo senso più pieno.
Sappiamo bene che il pensiero è una sorta di cannocchiale che ci permette di vedere al di là dell’apparenza dell’immagine ed è in questo senso che l’opera di Verna va vista, con strumenti che non appartengono solamente alla pura percezione retinica, ma che abbisognano anche di un vedere riflessivo che nel momento in cui la percepisce, subitamente ne identifica anche il pensiero che questa veicola.
Mi sembra opportuno quindi analizzare alcuni testi pittorici dell’artista per evidenziare alcuni aspetti della sua ricerca, iniziando da opere che mostrano sin dal loro esordio il senso della evoluzione formale dell’autore.
Nel dipinto Grande ambiguo del 1969,appare già una modalità che si svilupperà successivamente, l’idea di una sorta di palinsesto in cui la superficie pittorica reca tracce sottostanti che tradiscono una idea di formatività in divenire.
La forma monocromatica del quadrato non riempie totalmente la superficie, lasciando intravedere una magmatica potenzialità inespressa, come un fiume carsico che pur sparendo tra le rocce mantiene intatta la sua sostanza fluviale.
Altrimenti risolto appare A42 del 1971, dove il campo pittorico è totalmente invaso e fortemente strutturato, ma la strutturazione segnica della superficie fa indovinare altre determinazioni spaziali,la cui allusiva definizione presuppone un atto di pensiero che parte dalla percezione del quadro, ma assume un ordine che è più geometricamente mentale.
L’ulteriore determinazione di una figura geometrica nell’angolo sinistro dell’opera, presuppone l’idea di una forma che si dà attraverso una variazione tonale, presupponendo quindi la pittura come possibilità non solo percettiva, ma concretamente definita dalla prassi sottesa alla sua definizione.
Risulta interessante come la questione dello spazio venga affrontata da Verna in un’opera dello stesso anno A47, in cui lo stesso spazio installativo configura l’assetto dell’opera stessa, determinando una possibilità percettiva che si situa formalmente e decisamente nell’ambiente.
Nelle opere successive rimane come sottotraccia la tensione teorica della ricerca, ma la forma pittorica assume un senso di più vasta mobilità, basti pensare ad un’opera come Cadmium red del 1978, in cui la sovrapposizione delle tracce pittoriche può far pensare di primo acchito ad una scelta informale, ma analizzando l’opera si evince come il pensiero abbia una sua predominante urgenza.
Intanto il titolo si presenta come una autonimia, dice se stesso e non rimanda ad altro da sé, inoltre la superficie definita dalla sovrapposizione dinamica degli strati cromatici, è sfalsata rispetto al campo totale della pittura, visto che un lato e la base sono definiti da un margine di diversa natura visiva.
Inoltre il digradare delle pennellate nell’angolo superiore sinistro, indica una sorta di sfaldamento della materia pittorica che mostra come sottotraccia un agire di diversa modalità e di diversa natura cromatica.
Il senso appare in una procedura operativa che squaderna le possibilità esecutive, non le elenca come pura fattualità, ma come atto consapevole che presuppone un pensiero pregresso ed una consequenziale prassi che lo attua e lo rende visibile.
Se prendiamo altre opere più recenti si vede come il procedimento operativo attuato da Verna non perde l’assunto che lo conforma ad esempio in Afasia lacerata del 1992, la struttura linguistica pare richiamarsi a ad una grammatica di tipo informale, ma ad una analisi più attenta si vede come l’idea progettuale dell’artista è fortemente presente.
Il colore è steso per campiture, ma la sua disposizione implica un profondità di campo, le forme cromatiche si sovrappongono, non per un mero esercizio visivo, ma con una consapevolezza evidente e meditata del campo pittorico, così che la superficie diviene il luogo dove l’evento pittorico si manifesta e quindi denuncia il pensiero che parimente lo sovrintende.
Ma è in seguito che se l’assetto formale assume una sorta di ambiguità visiva,questa viene dichiaratamente adottata per esemplare una idea, un processo di pensiero, che non si da in sé, ma nella prassi pittorica che lo sostiene e lo afferma.
Pensiamo ad esempio a un’opera come Metafora eccellente del 2005, in cui già il titolo offre una possibile soluzione di lettura; tradizionalmente la metafora è considerata una similitudine accorciata, similitudo brevior, difatti qui abbiamo sostanzialmente due elementi: l’uno, la superficie cromatica che occupa gran parte del quadro, l’altro la macchia biancastra dai contorni sfumati.
Esiste quindi una analogia tra i due elementi che peraltro non sono antitetici; e qui entra il pensiero della prassi, la campitura biancastra nasce e si evince dal fondo, ma questo è sostanzialmente sia l’elemento generatore, che l’elemento che da questa è fortemente definito nel suo assetto cromatico.
Torna una idea spaziale di sovrapposizione di campi cromatici, ma l’adozione di una sfumatura tonale che lega i due elementi in una relazione di contiguità, sposta l’assetto percettivo in una dimensione visuale più sottile e meno dichiarata, quindi favorisce un pensiero che pur nascendo dalla prassi, viene da questa rielaborato e risolto in senso visuale.
Le modalità della ricerca di Verna assumono ben più chiara e dichiarata definizione nelle opere recenti, pensiamo ad un dipinto come Ardente del 2009, dove la tessitura cromatica è risolta per passaggi quasi contigui di ordini cromatici.
Qui la materia pittorica soprammessa si risolve in due possibilità visive, l’una che attiene propriamente alla tinta adoperata, l’altra che si definisce attraverso l’adozione di una similarità tonale, così che il dialogo pittorico si fa sì serrato, ma al tempo stesso modulato, attraverso una sapiente orchestrazione cromatica della superficie del dipinto.
Questo dimostra la coerenza della ricerca pittorica di Claudio Verna che attraverso varie modalità visuali espresse nel tempo, mantiene tuttavia un chiaro e definito pensiero sulla pittura e sull’atto stesso del dipingere.