La pittura di Claudio Verna tra misura e passione, catalogo personale, Opere 1994 – 2001, Palazzo Mormino, Donnalucata, agosto 2001
La pittura di Claudio Verna è fondamentalmente solare, luminosa e i suoi colori preferiti sono il giallo e il rosso. Egli rifugge dal dramma, aderisce alla realtà del colore legato indissolubilmente alla luce, energia pura dello spazio dipinto. Per lui non esiste il nero, anche la notte è luminosa. Non è la natura che lo interessa; se questa è presente lo è in modo indiretto, intervenendo sull’inconscio. L’arte è legata alla forma-colore. La modernità è dentro il colore senza mediazioni. Comincia Van Gogh a disegnare col colore. A far coincidere l’arte col colore sarà Matisse. Insieme a lui e dopo di lui sul colore si è svolta buona parte della riflessione estetica del Novecento, da Kandinsky a Mondrian, da de Staél a Rothko, da Clifford Still a Gorky, da Twombly al nostro Afro. Una riflessione esplicita, diretta, senza mediazioni naturalistiche, per quanto la relazione colore-arte abbia segnato tutta la storia della pittura: basti pensare agli affreschi di Cnosso, a quelli pompeiani dove il rosso è stato grande protagonista. Non si tratta di trovare le radici, i rimandi. Si tratta di poter affermare la preminenza, la consustan/iale identità tra pittura-colore-arte, luogo perennemente nuovo per dire della bellezza e della verità, o meglio della verità intrinseca al linguaggio del colore.
Ho pensato spesso in questi giorni, guardando i quadri di Verna, a quello che mi capita di fare ogni tanto: chiudo gli occhi davanti al sole e guardo; mi trovo di fronte ad uno spazio rosso attraversato da punti mobili scuri, un campo reale e vero, dato dal velo delle palpebre. Ho desiderato sempre dipingere quell’immagine. Ora la trovo tra le opere di Verna. Ma saremmo ancora alla percezione, alla sensibilità. Verna va molto oltre. Reinventa la pittura, considerando la tela come un campo di tensioni. Le sue opere sono risolte quando le tensioni, le contraddizioni trovano un punto d’incontro, le inquietudini trovano un momento di pausa. “Mi interessa un lirismo inquieto” mi dice. Un quadro è ambiguo e rassicurante nello stesso tempo, è frutto dell’abbandono, della gestualità, dell’emozione e contestualmente della razionalità, di un progetto. “La soggettività ci inquieta, l’oggettività ci rassicura” nota Dora Vallier.
In questa mostra vi sono opere in acrilico: “sono tornato all’acrilico perché l’abbandono all’emotività del colore mi stava facendo perdere l’equilibrio. I quadri ad olio erano troppo goduti. Dovevo raffreddare questa spinta. La pittura ad olio ha più sapori, mente l’acrilico è un colore più freddo. Ha però delle qualità intrinseche, consente una ricerca più veloce, più intensa; consente delle screziature. Quando l’ho usato negli anni ’70 volevo eliminare il pittoricismo. Oggi tendo a rispettarne la materia che è meno succosa”. La tela è come un filtro in cui si sedimentano delle figure che rimangono, anche quando si interviene con altre stesure. Quali figure in immagini astratte? Sono i titoli delle opere ad indirizzarci: Le porte del vento., Monitor., S-velato., Parole di fuoco, Pittura ostile., Enconnu, Progetto e Abbandono, Quando vorresti che fosse finalmente giorno. La notte feconda come un respiro. Figure di sensazioni, di emozioni, di pensieri, di profumi, rese con colori intensi, ricchi, profondi. Progetto e Abbandono è una tela di viola, arancioni, ocre, bianchi, con un rosso molto amato da Verna, il rosso quinacridone, una lacca trasparente, “una sorta di colore femmina – mi dice – che se lo integri col bianco diventa incredibile; è presente sempre nelle mie opere”. Un dipinto che ha un equilibrio instabile, una classicità che contiene inquietudine. Le porte del vento è un’opera il cui titolo nasce durante l’esecuzione; stendere un bianco sugli altri colori è come se stia passando un vento che lascia trasparire tutto.
“La mia natura tenderebbe a debordare” osserva ancora l’artista. E’ irrefrenabile la passione-pulsione per il colore libero, immediato, diretto, sensuale, malizioso, seducente. Ma l’opera non può e non deve essere una confessione; è una forma autonoma che ha bisogno di un controllo razionale. Le componenti geometriche, le bande che spesso attraversano le tele sono determinate dalla necessità di rimanere dentro la misura della razionalità.
Guardo e riguardo le sue opere e le trovo di rara bellezza; le trovo felici nella complessità delle figure; danno un senso di appagamento, di piacere come rare volte si prova di fronte alla pittura contemporanea, e se su una parete, in una stanza, in più stanze, sono tante le sue opere aumenta il piacere, perché un dipinto rimanda all’altro e all’altro ancora ed il dialogo tra le opere si fa più serrato. “Ogni quadro – osserva – nasce dal precedente”. Le tensioni, i forti contrasti di colore si ricompongono nello stesso dipinto, nei doppi, in più dipinti per acquisire ritmi armonici. Sono centinaia le gamme dai rossi ai bianchì, dai blu ai grigi, a mettere insieme caldo-freddo, acuto-piano, dolce-aspro, luce-ombra.
Verna vive in simbiosi col colore, trova i timbri più belli e più freschi, li compone sovrapponendoli, strutturandoli in un labirinto di spazi, con pennellate spezzate, intermittenti, o in campì uniformi, con accensioni lungo i bordi o nel cuore della tela, con tessiture sovrapposte a dare profondità, dilatazioni, condensazioni dove tutto sembra immediato, mentre è il frutto di una pratica rigorosa, di un esercizio continuo controllato: “Rifaccio tante volte lo stesso quadro. Come un attore che prova cento volte per raggiungere la naturalezza dell’ultima recita”. Il risultato sembra il frutto dell’immediatezza, mentre c’è tanta sapienza nelle sovrapposizioni dei toni, dei timbri, per determinare vibrazione, leggerezza e profondità insieme.
Mi chiedo cosa vanno a toccare le opere di Verna; penso un luogo, un nucleo della nostra psiche che è crocevia tra emotività ed intelligenza, luogo dove l’emozionalità si impasta con la chiarezza mentale, dove si forma un piacere che si consolida nei tempi lunghi della razionalità. La ragione consiste, forse, nell’essere un pittore italiano in cui, per gli imprevedibili e unici percorsi che si determinano nella sua personalità, si sono condensati la sensitività del colore veneziano e la razionalità della pittura fiorentina. Il risultato è una pittura che avverti fresca, contemporanea e se ha a che fare con la storia questa è nei sotterranei, mentre nella realtà immediata le sue tele sono luoghi di energia, spazi profondi nei rossi, come il cuore di un vulcano, o come un cielo notturno, sono leggeri come una carezza, come un cirro che si perde, sono rasserenanti come le vele bianche spinte dal vento dentro una baia, sono caldi nei gialli come i meriggi assolati della Sicilia, sono teneri come i petali di una rosa, sono calmi come la superficie di un lago in un giorno senza vento.
Prevale la felicità nelle sue opere, oserei dire la letizia, la perfetta letizia che può essere raggiunta attraverso una pratica esistenziale tra i verdi di Rapicciano. Per lui non è solo un guardarsi intorno, ma un interrogarsi quotidiano sulle possibilità e le potenzialità della pittura ad essere forma espressiva contemporanea: “ho stabilito un asse Rapicciano-New York, mi piace stabilire un asse piccolissimo-grandissimo”. I suoi dipinti hanno uno stile, il suo stile, rigoroso come pochi, pochissimi artisti raggiungono nel panorama della pittura italiana contemporanea e rivelano soprattutto una varietà iconica non comune. Anzi, proprio questo aspetto, a mio avviso, è stato poco indagato dalla critica. Conosco pochissimi artisti che abbiano sperimentato e osato tanto in Italia. Qualche rimando: rosso-rosa-arancio-giallo; blu come campo con variazioni di striature di azzurro; grigio chiaro e blu in un doppio., con frammenti di bianco e di giallo; un doppio di grigio profondo e squarci di blu e di ocra; variazioni di blu con bianco; marroncini e rossi; bianco-grigio-giallo-azzurro; blu scuro-blu chiaro- azzurro e virgole di rosa, di ocra, di rosso e le sequenze potrebbero continuare a dire di stati d’animo, di dolcezze, di gioie, di tensioni, di fede assoluta nel colore come fondamentale dato della forma, una fede-ostinazione che in Verna si esprime in un modo nuovo e autentico.