Ho sentito dire spesso che un pittore, in fondo, dipinge sempre lo stesso quadro. Non so se sia vero.
Per conto mio, posso dire che il lavoro più recente ha inaspettati punti di contatto con le tempere su carta che dipingevo nel 1959. È cambiata la struttura del quadro, l’immagine, la tecnica, soprattutto sono cambiato io, eppure sento questi due periodi contemporanei. Anzi, mi rendo conto sempre più che quadri lontanissimi nel tempo mi sono contemporanei allo stesso modo di altri recenti. Ma la diversità resta: e allora cosa li accomuna? Forse è vero che si dipinge sempre lo stesso quadro?
Continuo a non saper rispondere anche se penso che, al fondo, la visione del mondo che ognuno di noi elabora culturalmente deve fare continuamente i conti con una specie di predisposizione verso le cose, di impulsi vitali che ciascuno possiede e che non è lecito sottovalutare.
Vorrei precisare meglio questo punto. Le mode, le polemiche, il terrorismo di certa critica spingono a volte i pittori a privilegiare la teoria a danno della prassi (o viceversa), trincerandosi dietro giustificazioni e schemi verbali. Altre volte, a confondere la giusta severità della disciplina con una sorta di autocensura. È un appunto che, almeno per un certo periodo, non risparmio neppure a me stesso. Ma la pittura non è solo analisi critica della pittura (anche se non è possibile dipingere senza la consapevolezza degli strumenti che si adoperano): la pittura per me è anche gioco oltre che impegno totale, coscienza e conoscenza, esercizio ininterrotto di libertà, ma soprattutto piacere o almeno ricerca dì piacere.
Ecco forse una possibile risposta: lo sviluppo del lavoro, del mio lavoro, non passa tanto attraverso la sua elaborazione formale, che pure ha il suo peso, quanto attraverso il suo livello di creatività, in una articolazione spontanea di percezione e pensiero, di cultura ed energia vitale.
Quando mi pongo dì fronte alla tela, non ho mai il complesso della pagina bianca, ma la piacevole sensazione di avventurarmi in qualcosa che mi promette, appunto, piacere. Forse per questo, non cerco di approfittarne, ma elaboro il quadro con lentezza, pronto a seguire gli inviti e le suggestioni di quanto si va organizzando sotto i miei occhi. Il quadro così non nasce con il proposito di colpire o sorprendere lo spettatore, ma al contrario di farsi avvicinare lentamente ed agire con il massimo dell’efficacia man mano che aumenta il tempo della sua lettura.