Cara Anna,
so bene che le parole degli artisti sono quasi sempre giustificazioni e che ai pittori, come diceva Matisse, bisognerebbe tagliare la lingua (anche se poi lo stesso Matisse parlò e scrisse per tutta la vita). Ma parler peinture è anche una necessità, perché aiuta a scandagliare non solo le ragioni e le pulsioni che sono all’origine del proprio lavoro, ma anche il rapporto di questo con la realtà del mondo, con la ricerca degli altri, con la tradizione. Tema quest’ultimo, colmo di insidie perché si rischiano solenni sciocchezze, ma anche affascinante e inevitabile: nessuno di noi nasce dal nulla.
Recentemente sono stato alla Fiera di Basilea e ho potuto constatare come, in un clima di grande euforia e di estrema spettacolarizzazione, alcuni artisti operino oggi in una specie di vuoto storico, dimentichi quasi delle proprie origini. I risultati sono spesso suggestivi, a volte sorprendenti, ma come sospesi nel limbo delle invenzioni fini a sé stesse.
Ecco, al contrario, io tento, spero di qualificare la mia ricerca innestandola nel solco della tradizione moderna (e non solo), attento alla lezione dei maestri che mi sono scelto, pronto a rimettere in discussione ogni presunta certezza. Solo a queste condizioni posso ambire al nuovo, a risultati che abbiano una loro necessità e possano confrontarsi con gli esiti, anche i più diversi, degli altri artisti.
Io dipingo, credo con tutto me stesso nella pittura e in questo territorio sconfinato (che ritengo ancora tutto da esplorare) esercito la mia libertà e riverso la mia passione. Ho sempre detto che mi definisco pittore perché penso di potermi esprimere solo con il colore: e il colore opera nello spazio della pittura come sovrano assoluto. Allora non saranno le immagini, da sole, a conquistare o identificare questo spazio, ma il colore con le sue infinite potenzialità e la sua infinita ricchezza.
Nello stesso tempo, sono affascinato anche da esperienze extra – pittoriche, tutte quelle che indagano le contraddizioni di questo nostro tempo frammentato e quasi pulviscolare. Oggi, l’opera d’arte sembra aver perso una sua centralità perché senza riferimenti certi e il nostro compito sembra essersi ridotto a conquistare solo qualche barlume di verità: ma è un compito comunque affascinante e necessario.
Per quanto mi riguarda, vivo la pittura in un dialogo continuo con la mia storia e con quella degli altri, poiché solo così trovo la forza di proseguire la mia avventura: senza presunzioni ma anche senza cedimenti a logiche esterne, nemico dei solipsismi ma anche geloso della mia ricerca personale (e appassionata).
Non voglio entrare più di tanto nel merito del mio lavoro perché, anche se lo facessi, sarei parziale e incompleto: l’opera d’arte si nasconde (allo stesso autore), il vero quadro è sempre dietro quello che appare. Io offro solo una testimonianza ma del rapporto segreto tra progetto e abbandono, tra razionalità e inconscio, insomma dei risultati, non posso e non so parlare.